
Alla Chiesa di Santa Maria di Barsento ci si arriva da Noci percorrendo la via vecchia che conduce a Fasano e lì si trova il piccolo edificio dopo una curva, quasi defilato rispetto al percorso stradale.
Si rivela timidamente mostrando il fianco laterale, ma si intuisce subito che la sua presenza è una testimonianza importante per tutto quello che può raccontare come partecipe e testimone di una storia secolare.
I suoi muri bianchi risplendono nelle giornate di sole e riflettono intorno una luce aggiuntiva, ma è nelle fredde giornate invernali che diventa ancora più sconvolgente la bellezza della sua semplice architettura.
Il livido biancore dei suoi muri quasi si confonde con i muretti a secco in pietra che delimitano la strada di accesso ed i terreni circostanti. Il grigio delle sue coperture si confonde con i muschi e i licheni che invadono le pietre secolari.
Sembra impossibile che la piccola chiesa si possa essere trasformata nei secoli a secondo delle vicende umane che si sono succedute nei suoi dintorni, eppure le sue pietre raccontano; la sua evoluzione strutturale è lo specchio di quella plurisecolare ed interrotta frequentazione degli abitanti del luogo, conclusasi sul finire del Medioevo.

E’ quella piccola costruzione che dà una forte identità ai territori di Noci, Mottola ed Alberobello. La vegetazione che la circonda è ancora poco compromessa e, prepotentemente, copre il terreno da cui ancora affiorano i resti di antiche costruzioni e i tracciati delle vecchie vie di percorrenza.
Oggi la chiesetta vive momenti di vita ordinaria, in occasione di qualche festività o di celebrazioni matrimoniali. In realtà meriterebbe molto di più. Con il suo intorno naturale dovrebbe costituire un luogo dove la sua specificità di documento storico venga esaltato dalla creazione di un parco che la stessa Regione Puglia dal 1987 prevedeva. Una campagna sistematica di scavi archeologici e l’eventuale conservazione dei reperti in un piccolo museo da allestire nella piccola masseria adiacente (sempre che ci sia la volontà delle istituzioni di farlo) sarebbe sicuramente una operazione meritoria.
La Chiesa di Barsento i cui lavori di restauro si sono conclusi recentemente, sembrava che all’inizio fosse bisognevole di semplici opere di manutenzione straordinaria, quali il rifacimento delle coperture ed il risanamento delle murature dalle infiltrazioni dall’umidità, ma così non è stato. Man mano che i lavori procedevano, ogni giorno rivelava qualcosa di sé, quasi a voler richiamare l’attenzione sulle cose nascoste che per lungo tempo ha tenuto occultate.
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Il fascino della scoperta ha spinto a chiedere sempre di più a quel luogo. Già durante i lavori di rilevazione degli anni 80 alcuni saggi nel pavimento avevano rivelato delle preesistenze di cui la campagna di scavi successiva, effettuata dalla Soprintendenza archeologica aveva tenuto conto. Anche quella volta la chiesa aveva dato poco di sé.
Tuttavia i piccoli saggi nella pavimentazione avevano resa certa l’esistenza di una sovrapposizione pavimentale che meritava indagini più approfondite.
Lo stesso esame delle cortine murarie absidali, sia esterne che interne, facevano supporre svariati crolli e riedificazioni succedutisi nei secoli dovuti a vicende sicuramente traumatiche.
Solo dopo gli ultimi lavori che si sono conclusi nella primavera del 2008, lo studio sulla genesi della Chiesa è risultato più chiaro, poiché basato su dati scientifici e cronologici che rendono giustizia alle presunte certezze tramandate dalla tradizione popolare.
Lo studio condotto ha tenuto conto di documenti di archivio certi, e della lettura dei segni che ancora oggi emergono nitidi dal territorio circostante e dalla stessa struttura architettonica.
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Comprendere la genesi di Barsento significa ascoltare la storia del luogo, scrutando con attenzione le pietre che emergono dal terreno e seguire le linee che sono indelebilmente segnate sulle superfici esterne dei suoi muri. Prepotenti non sfuggono ad un occhio allenato le varie fasi della costruzione in elevato attraverso le tracce delle coperture che i vari strati di calce non sono riusciti ad annullare del tutto.
Guardare dall’alto il territorio attraverso foto scattate a volo d’uccello, aiuta a capire l’assetto antico dello stesso e tutto aiuta a ricostruire una storia che può darsi per certa al di là di quelle poche date certe che noi abbiamo.

La chiesa di Santa Maria di Barsento, di dimensioni modeste, presenta pianta basilicale a tre navate, terminante con tre piccole absidi a quarto di sfera, coperte da piccoli tetti semiconici, di cui la più grande, è pozionata al centro, al termine della navata principale.
Le volte a botte di diversa altezza delle navate sono protette all’intradosso da tetti a doppia falda inclinata rivestiti di chiancarelle.
Sul fronte, un piccolo protiro introduce nella navata principale, attraveso una porta ad arco lunato che originariamente era accompagnata da altre due posizionate lateralmente, che introducevano nelle navatelle laterali. Quella a destra, murata, conserva ancora dalla parte interna l’architrave in legno di antica fattura, venuto alla luce durante i lavori di restauro, l’altra a sinistra, anch’essa obliterata, si intuisce dalla lettura della tessitura del paramento murario.
Il protiro ed il piccolo campanile a vela, sono costruzioni successive all’impianto triabsidato, come si evince dalla mancanza di interconnessione dei paramenti murari e dall’esame della tessitura degli stessi.
All’interno, la semplicità della struttura è esaltata dall’intonacatura candida delle pareti, su cui, solo nell’abisidiola di destra, una nota di colore è data dai residui di affreschi che ancora devono essere oggetto di restauro e conservazione. Al termine della navata centrale, un altare ligneo ottocentesco, nasconde la calotta dell’abside interessata da un affresco rappresentante un’effige del Redentore fiancheggiato dalla Luna e dal Sole umanizzati alla maniera bizantina.

Al centro della macchina lignea, contornata da colonne tortili di fattura baroccheggiante, insiste una pala d’altare, l’unico dipinto superstite (gli altri due sono stati trafugati) che rappresenta la Madonna col Bambino e i santi Pietro e Papa Gregorio Magno.
Due mense in pietra sono poste al termine delle navate laterali. Queste ultime sono divise dalla navata centrale, coperta da volte a botte a sesto leggermente rialzato, da due ordini di arcate a sesto ribassato che scaricano su due pilastri quadrangolari e sui relativi muri divisori terminali.Tali arcate, a loro volta, non trovano rispondenza in quelle cieche dei muri laterali ricostruiti in epoca successiva.
La Chiesa è resa unica dalla compresenza in essa delle due tecniche costruttive autoctone in uso nella Murgia dei Trulli. Quella del trullo presente nelle coperture semiconiche delle absidi, e quella della lamia, presente nella copertura a pignon delle navate.
Un’iscrizione, forse erratica ed in parte abrasa è presente sulla facciata della navata destra, incisa su pietra calcarea, la cui interpretazione è la seguente:
AB ANN(n)O I(n)CARNAT(I)ONIS [domini]
N(ost)RI IESU CHRISTI MCC […]
SITANA (?) CO(mmun)
“nell’anno del’incarnazione del nostro Signore Gesù Cristo 1200….”
L’anno è indecifrabile e riporterebbe forse la dedica di una “comunità barsentana” che potrebbe aver ristrutturato la chiesa.

All’inizio del XVIII sec. furono realizzati due archi di rinforzo tra la chiesa ed il complesso adiacente e, sempre di rinforzo, un contrafforte sul cantonale destro del prospetto principale.
Per quanto riguarda la datazione e la tipologia architettonica della chiesa, molto si è discusso in passato da parte degli storici dell’arte. La Bertelli la pone più che in età medievale più precisamente nell’XI – XII secolo. Il D’Andria di contro, la mette in relazione con la presenza dei Longobardi nella zona e la riconduce al secolo VIII. Tuttavia all’epoca di tali considerazioni, gli studiosi non potevano disporre di dati emersi dai lavori di restauro e dalle rilevazioni antiche che hanno interessato non solo la chiesa ma anche una porzione di territorio ad essa adiacente dovute ai lavori di restauro di questi ultimi anni.
In tal senso le ricerche condotte sin dal 1989 all’interno della chiesa e proseguite nel suo immediato intorno paesaggistico dalla sovrintendenza archeologica a partire dal 1997, aiutano a delineare l’articolata e complessa vicenda storico – insediativa del sito barsentino. Tali ricerche hanno evidenziato in esso l’ininterrotta frequentazione dell’uomo dall’età del bronzo finale (XIII – XII sec. a.C) fino al basso medioevo riconoscendo nell'arco cronologico compreso fra l'età augustea e quella tiberiana del primo periodo imperiale (I sec. a.C. – I sec. d.C.), grazie ai rinvenimenti di alcune monete e di frammenti ceramici, una interessante “presenza”romana.

Guardare dall'alto il sito barsentino, aiuta a comprendere l'assetto del suo antico casale medievale e tutto contribuisce a ricostruire la sua storia.
La complessità della documentazione fino ad oggi raccolta, compreso una interessante serie di foto aeree, che pur tuttavia non permette di leggere in maniera ancora sufficiente la trama urbanistica del casale medievale, del quale erano finora noti soltanto alcuni edifici isolati1, non può tuttavia essere disgiunta da riferimenti alla antropizzazione remota, alla viabilità antica, all’assetto del territorio che orbitava attorno ad Egnazia, la polarità urbana più importante per i centri demici del Sud-Est barese e della così detta Murgia dei Trulli.
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